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Bergamo, Italia

Bergamo Jazz, 20-22 marzo 2015



Come sempre preceduto e accompagnato da vari eventi collaterali (concerti, incontri e attività didattiche), Bergamo Jazz ha celebrato la trentasettesima edizione con un’ampia panoramica sull’attualità jazzistica. Secondo una prassi ormai consolidata, il livello qualitativo si è mantenuto su standard complessivamente molto alti, premiando le scelte del direttore artistico Enrico Rava, eccezionalmente riconfermato l’anno scorso alla scadenza del mandato triennale. Come sempre, i concerti di maggior richiamo sono stati ospitati al Teatro Donizetti, mentre l’Auditorium della Libertà ha accolto proposte più sperimentali e giovani emergenti.


Dianne Reeves © Gianfranco Rota by courtesy of Bergamo Jazz


Il lato dell’intrattenimento ha visto protagonista Dianne Reeves, sostenuta da Peter Martin (p), Romero Lubambo (g), Reginald Veal (b) e Terreon Gully (dr). Benché lo show fosse confezionato nei minimi dettagli, la cantante di Detroit ha dato prova non solo di grande professionalità, ma anche di una vasta gamma espressiva. Il suo contralto è ricco di sfumature che oscillano tra finezze sul registro grave (alla maniera di Carmen McRae e Sarah Vaughan), acrobazie scat, sanguigne tinte blues, accenti gospel e soul modulati su potenti tracce funk. Colpisce in particolare la capacità di trasporre i brani in tonalità diverse, trasformando un hit come «Dreams» dei Fleetwood Mac in uno standard, liberando «Stormy Weather» da trattamenti canonici e innestando «Love Is Here to Stay» su un impianto di bossa, a testimonianza del vecchio amore per la musica latina.


Un entertainment di mera routine è stato invece proposto dalla modesta esibizione di Fred Wesley. Nonostante il nome - The New JBs - alluda chiaramente alla passata esperienza con James Brown, del Godfather of Soul il suo gruppo non possiede né l’implacabile tiro ritmico, né il graffiante afflato spirituale, né tantomeno la carnale sensualità. A fronte di alcuni piacevoli insiemi strumentali, dove risalta ancora la maestria del trombonista, i canovacci funky e le parti cantate risultano scontati. Con tutto il dovuto rispetto, si ha la sensazione di assaggiare una minestra riscaldata.


Tra le nuove proposte, il gruppo Fairgrounds di Jeff Ballard appare ancora allo stato embrionale, né basta il magistero del batterista ad alimentarlo. Nonostante alcuni apprezzabili spunti melodici e certi intrecci tra Kevin Hays (p) e Lionel Loueke (g), non si percepisce un’identità. Resta da definire l’apporto del nuovo membro Peter Rende al Fender Rhodes e il ruolo dell’elettronica di Reid Anderson, nonché la funzione delle parti vocali affidate a Loueke e Hays, in bilico tra Africa e rock americano degli anni Settanta.


Si apprezzano invece la passione e la freschezza del trio del giovane pianista torinese Fabio Giachino, con Davide Liberti (b) e Ruben Bellavia (dr). Particolarmente brillante sugli up tempo, il gruppo rivela una matrice hancockiana, soprattutto nello sviluppo del pensiero orizzontale e nella costruzione armonica; un approccio giocoso, ma rispettoso, alla tradizione (In The Wee Small Hours of the Morning, Saint Louis Blues); alcune felici invenzioni melodiche.


Palatino © Gianfranco Rota by courtesy of Bergamo Jazz


Riunitosi per l’occasione, Palatino ha rinverdito i fasti di una breve ma intensa stagione, presentando temi ricchi di valenze melodiche evidenziate anche dalle corpose linee di Michel Benita. Spicca l’interazione, prolifica e costante, tra Paolo Fresu e Glenn Ferris, sostenuta dal drive sempre preciso nella sua essenzialità di Aldo Romano (e anche da un sano senso ludico). Ferris produce una vasta gamma di sfumature con coulisse e sordina, mentre al flicorno Fresu tempera la naturale predisposizione al lirismo con una maggior dose di fuoco espressivo.


Mark Turner Quartet© Gianfranco Rota by courtesy of Bergamo Jazz


In assenza di uno strumento armonico, Mark Turner (ts) imbastisce impasti e intrecci di lucente bellezza con Ambrose Akinmusire (tp), sorretti dalla disciplina rigorosa di Joe Martin (b) e Justin Brown (dr). Certe linee rarefatte, a tratti contrappuntistiche, si ricollegano alla poetica di Warne Marsh e alle esperienze pionieristiche, di ispirazione cameristica, di Jimmy Giuffre. Ne scaturiscono temi avvolgenti - dotati ora di ampie curve melodiche, ora di un taglio introspettivo – in cui prevalgono la purezza del suono e la compiuta concisione del fraseggio, caratteristiche evidenti anche nel percorso improvvisativo.

Vijay Iyer © Gianfranco Rota by courtesy of Bergamo Jazz


Vijay Iyer sta affermando una concezione del piano trio che si spinge molto oltre i canoni consolidati, prendendo le mosse da una predilezione per le componenti ritmica e armonica in parte ereditate da Andrew Hill e Thelonious Monk. Su queste basi si innestano iterazioni di matrice minimalista ed elettronica (come in Hood, dedica a Robert Hood, produttore di house music) e una configurazione ciclica mutuata dallo studio dei raga. Interlocutore sempre pronto a recepire e rilanciare stimoli, Marcus Gilmore è uno dei più innovativi batteristi in circolazione, prodigo di scansioni e figurazioni che esaltano la natura poliritmica delle composizioni. Stephan Crump (b) opera in perfetta simbiosi con una pulsazione massiccia e linee ficcanti che fungono da autentico collante e mettono in luce l’essenza del tessuto ritmico.


Michael Formanek Quintet © Gianfranco Rota by courtesy of Bergamo Jazz


Alla testa del suo Cheating Heart Quintet, Michael Formanek (b) si conferma padrone di una visione compositiva profonda e rigorosa, basata su una scrittura fitta e meticolosa da cui sgorgano temi articolati e concatenazioni armoniche intricate, spesso veicolati dal connubio tra sax alto (Tim Berne) e tenore (Brian Settles). L’azione compatta del gruppo spesso sconfina in territorio atonale, dove Berne e Settles si avventurano senza inibizioni e con logica stringente. Jacob Sacks (p) sfrutta l’occasione per intermezzi che richiamano tensioni post-weberniane. Formanek e Dan Weiss (dr) regolano la temperatura di queste ribollenti escursioni per riportare le esecuzioni nei giusti binari.


Nels Cline © Gianfranco Rota by courtesy of Bergamo Jazz


Infine, The Nels Cline Singers, ovvero Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Cline è un geniale «guastatore» che racchiude in uno stile inimitabile gli aspetti salienti del chitarrismo contemporaneo. Può quindi spaziare da arpeggi ipnotici scanditi con timbriche diverse e volume crescente - terreno fertile per le roboanti figurazioni di Scott Amendola - ad atmosfere di sapore folk e poi virare verso impennate rock corrosive o modellare fraseggi jazzistici, sempre con un uso vario ed efficace di timbri e distorsioni. Così facendo evoca, ma solo per associazione, le sperimentazioni di Fred Frith, l’impatto eversivo di Marc Ribot e Lee Ranaldo, le esplorazioni che Bill Frisell aveva condotto negli anni Ottanta, sia in proprio che con John Zorn. Il piglio iconoclasta è corroborato dal drumming febbrile di Amendola e dall’approccio irriverente che Trevor Dunn applica alle corde del contrabbasso.

 
Un così ampio excursus sulle tendenze del jazz attuale è stato seguito, come sempre, da un pubblico attento, competente e numeroso (il Donizetti era sempre esaurito): una garanzia per il futuro del festival.


Enzo Boddi
Foto © Gianfranco Rota
by courtesy of Bergamo Jazz Festival
© Jazz Hot n° 671, primavera 2015